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| Le ombre fossili delle felci
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Le ombre fossili delle felci
Il messaggio del passatoIn noi uomini delle montagne si è
insidiato un inspiegabile senso di riverenza nei confronti
dell’autorità, che in molte situazioni ci impedisce di chiederci se
ci siano delle vie migliori.
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E così, invece di affidarci alla nostra coscienza civile, ci lasciamo
intimidire da leggi, regole o persone con atteggiamento risoluto.
Abbiamo sviluppato un grande timore delle numerose autorità e crediamo
che una punizione o addirittura una condanna, basata su una legge
promossa magari in modo insensato, ci renda dei cattivi cittadini. Allo
stesso modo temiamo i pettegolezzi di paese; la maggioranza degli uomini
ha quindi sviluppato una discutibile tendenza alla non
autodeterminazione, che mortifica smisuratamente il nostro spirito e il
nostro nome.
Pensavo a queste cose, mentre proseguivo ansimante su un sentiero
forestale il 3 luglio 1993, in salita sotto le pareti selvagge del
Heerstein a Braies. Era un sentiero nuovo e lo vedevo allora per la
prima volta. Era stato scavato nel paesaggio come una vena sanguinante e
le pietre erano rotolate disordinatamente verso il basso. Gli alberi
soffrivano a causa delle ferite aperte. La pece si diffondeva
dappertutto come grandi lacrime. Piangevano, perché erano stati feriti:
nessuno si era preso cura della natura. Tutto doveva svolgersi
velocemente, il tempo è denaro, si sentiva troppo spesso dire nella
valle.
Mi accompagnava una giovane ragazza, Edith, di un piccolo paese della
Val Badia. Nonostante avessi fatto di tutto per mostrarmi cattivo nei
suoi confronti, lei non si era mai fatta scoraggiare: in segno di amore
mi metteva fiori freschi appena raccolti nel vaso sopra il tavolo e li
sistemava prestando attenzione alla disposizione dei colori. Non erano
fiori di negozio da comperare ovunque, bensì fiori dei prati di
montagna. Mi invitò a La Valle, il suo paese di origine, per partecipare
alle antiche processioni per la fertilità del terreno e delle stesse
donne, per vedere come gli abitanti di questi posti camminavano per i
prati e pregavano per ottenere abbondanti raccolti.
Ognuno, nella propria vita, deve credere a quello che ritiene giusto,
tuttavia qui scoprii qualcosa di autentico. Qui, nel cuore della terra
ladina, dove migliaia di turisti si scatenavano sulle piste durante
l'inverno, ci si era dimenticati di un lembo di terra da sacrificare al
dio denaro.
Se, in altri luoghi, si cercava di attirare i curiosi con
rappresentazioni banali per strappare loro il denaro con una serie di
fanfaluche e bancarelle del mercato annuale, beh, qui le cose erano
diverse. A La Valle la gente ringraziava le forze superiori che
ritenevano potessero portare aiuto.
Edith lottò per anni per avermi. La rifiutavo, laddove potevo, la
mortificavo fino alla fine, eppure lei aveva sempre una parola gentile.
Aveva fiducia in me, anche quando incassavo degli insuccessi. Mi insegnò
la forza dell'amore, del donare e della fiducia.
Ci abbeveravamo nei vasti campi di felci. L'Equiseto germogliava
ricchissimo nei luoghi umidi, i potenti Abeti rossi e i Larici offrivano
ombra. Era un mondo verde, lo stesso di milioni di anni fa, prima ancora
che le piante in fioritura potessero creare l'incantesimo dei colori più
splendidi. Molte di queste piante sono rimaste immutate per centinaia di
milioni di anni. È come se avessero sviluppato delle caratteristiche
esistenziali non più modificabili. Mi sedetti, perché nel frattempo mi
ero abituato a donare il mio tempo alle cose della vita; come una
pesante zavorra avevo abbandonato molto della frenesia degli anni
precedenti.
Fui colpito da impronte poco evidenti, come se raggi di sole si fossero
pietrificati su di esse. Li conoscevo, questi strani bivalvi. I vecchi
ladini li chiamavano “soredli”, soli pietrificati. Credevano che ad ogni
tramonto il sole lasciasse un'impronta. Per questo motivo, nel corso di
milioni di anni, erano state lasciate milioni di impronte. Un
ricercatore tedesco riconobbe invece che si trattava di una conchiglia e
le chiamò Daonella.
Gli uomini semplici di queste valli avevano imparato a osservare la
natura: avevano notato strane stelle disegnate sulle rocce; erano Stelle
di mare che avevano vissuto milioni di anni prima. Altri invece, secondo
loro, assomigliavano ad orme fossili di vacca.
Guardavo in lontananza in direzione del Plan de Corones. Una grande
superficie di foresta stava per essere abbattuta. I boscaioli tagliavano
i ceppi ed entro breve tempo non si sarebbe visto altro che una
superficie piana. Tutti erano stupiti di come gli uomini fossero
riusciti a trasformare in così poco tempo questa area sciistica in una
delle più importanti d'Europa. I giornali facevano a gara per pubblicare
informazioni sui successi raggiunti. I record vennero superati nell'arco
di breve tempo: una nuova seggiovia doveva essere costruita, i sostegni
colorati si vedevano a chilometri di distanza. Gli alberi privati di
corteccia giacevano al suolo come soldati abbattuti. Erano migliaia.
Volsi poi il mio sguardo in direzione di Monte Cavallo sopra Braies.
Quanto spesso mi spingevo qui in alto, in inverno, quando tutto era
assopito! Solo poco tempo fa, avevo fatto gli ultimi giri in solitario
con i miei sci. Lassù, gli sporgenti cornicioni di neve mi avevano
ricordato che avrebbero sommerso qualsiasi intruso. Ciò nonostante avevo
attraversato un pendio scosceso. Ed improvvisamente avevo sentito un
tuono e una spaccatura si era fatta strada, su, lungo tutto il pendio.
Mi ero fermato a riflettere: dovevo continuare? Mancavano solo pochi
metri fino alla cima, dove il pericolo sarebbe stato scongiurato, poiché
in alto il terreno era piano. Ero rimasto fermo a lungo a riflettere.
Poi ero stato colto da un senso di sventatezza tipica degli anni
giovanili: anche se la spaccatura avrebbe dovuto rappresentare un
avvertimento, avevo proseguito lo stesso passo dopo passo. La quantità
di neve da attraversare era enorme. Ed improvvisamente la neve si era
staccata e si era abbattuta su di me con una forza terrificante, come se
volesse cacciarmi da quel luogo.
Subito avevo cercato di “nuotare” in mezzo alla neve per tenermi a
galla, ma la massa nevosa continuava ad aumentare. Avevo tentato in
tutti i modi di non soccombere fino a perdere le mie ultime forze: le
masse di neve avevano minacciato di travolgermi e di fatto lo stavano
facendo. Mi ero incamminato da solo e se fossi rimasto sotto la neve
anche solo per pochi centimetri, sarei stato perduto. La slavina non
voleva fermarsi, e lo shock mi stava paralizzando. Poi un pensiero aveva
attraversato la mia mente: sarei dovuto tornare indietro dopo che la
natura mi aveva avvertito. Una pura sconsideratezza mi aveva privato
della testa per pensare…
Infine la slavina si era fermata. Ero bloccato fino al busto.
Fortunatamente la testa spuntò fuori come un bucaneve a primavera, anche
se ero completamente avvolto di neve polverosa. Avevo sentito un grande
freddo crescere in me. Mi ero pulito la faccia meccanicamente, poi avevo
cominciato a scavare attorno al mio corpo. La neve era ben compatta e fu
necessaria un'ora prima di poter liberare il mio petto dalla neve e
allontanare quell’angosciante senso di soffocamento. Dopo un’altra ora
ero riuscito a rimettermi a malapena in piedi. Avevo capito. Era venuto
il momento di tornare indietro. Ringraziando per l'avvertimento, avevo
promesso che le cose sarebbero cambiate. Non ero giusto voler entrare a
tutti i costi in una natura che non si conosce a sufficienza. Sarebbe
stato meglio aver cercato fin dall’inizio di dialogare con la neve, le
montagne e le rocce. E prima di sbagliare un’altra volta, avrei cercato
di capire meglio tutti questi elementi.
Camminavamo sul sentiero come innamorati. Era come se non mi stessi
muovendo nel presente, bensì come se stessi vagando in tempi remoti. Le
potenti conifere offrivano ombra ai dolci prati di felci e agli
equiseti. Solo il nuovo sentiero scavato disturbava questo idillio come
un colpo di spada. Ci sedemmo di nuovo su una lastra di pietra e
lasciammo scorrere i nostri pensieri.
Tutto intorno c’erano lastre di pietra. La scavatrice le aveva estratte
e gettato grandi pezzi lungo il pendio. Scorsi delle impronte strane,
simili a ombre di felce ed equiseti, nei punti di spaccatura.
Incuriosito presi in mano una piastra, per accorgermi subito che mi ero
sbagliato. Erano le impronte delle piante rimaste nella roccia, ma
somigliavano alle piante tutto intorno. Improvvisamente scorsi
dappertutto pezzi di piante fossilizzate. Cercai di metterle insieme e
come in un puzzle una rappresentava un equiseto, un’altra una felce a me
sconosciuta, una terza una conifera. Gli operai non avevano notato
questi disegni particolari e, qualora questo fosse accaduto non avevano
riflettuto nemmeno per un momento di che cosa poteva trattarsi. Era un
mondo di meraviglie quello che si presentava ai miei occhi: un tuffo nel
passato, quando le piante stavano vivendo l'inizio della loro vita.
Eravamo tanto immersi nei nostri pensieri che non avevamo notato un
viandante solitario. Si presentò, “Dottor Ruggero Calligaris” e mi
sembrava che per lui fosse importante evidenziare il suo titolo
accademico.
“Cosa fa Lei qui?" mi chiese, come se nutrisse qualche pensiero
particolare a me sconosciuto. Gli dissi che quassù sulle montagne non
esisteva nessun "Lei”, e che invece ogni uomo era un amico, a cui
rivolgersi con "tu".
“Cerco di ricomporre una parte di natura che è stata distrutta", gli
risposi e proseguii scrupolosamente il mio lavoro. Ero così concentrato
da non accorgermi che l’uomo dotto non c’era più. Trascorse un’ora, poi
sentii il rimbombo di un'auto pesante che risaliva a fatica la strada
forestale scavata dall’acqua di montagna. Si avvicinava, scesero due
poliziotti con le loro armi, ci circondarono, mentre intravedevo dietro
di loro il dottor Calligaris. Mi chiesero sgarbatamente che cosa stessi
facendo.
“Sto cercando di ricomporre questa pianta fossilizzata perché sono
curioso di sapere di quale pianta si tratta", risposi, senza rendermi
conto dell’errore che stavo commettendo.
“Sta devastando un sentiero boschivo” mi interruppero.
“No”, dissi, “voglio solo salvare tutto questo da una ulteriore
distruzione. La scavatrice ha già rovinato tutto".
“Aha, Lei è addirittura un selvaggio dissotterratore che distrugge le
cose singolari. Non mi davano più retta. Le mie argomentazioni non
sembravano affatto convincerli. I poliziotti mi ordinarono di seguirli,
e così mi ritrovò presto pigiato dentro nell'auto della polizia con il
mio zaino, nel quale avevo stipato alcune pietre e venni portato a
valle.
Poco dopo mi trovavo di fronte al comandante di polizia, come un
criminale, mentre stava redigendo la denuncia. Il dottor Calligaris si
stava spacciando come un grande scienziato, del quale si sarebbe sentito
parlare ancora molto. Io, invece, fui denunciato per deturpazione di un
sentiero boschivo.
Poche settimane dopo mi trovai di fronte al giudice e non mi sentivo per
nulla a disagio, anche se ero cosciente dell’inutilità dei miei sforzi.
Il giudice mi guardò in modo benevolo, come se fosse ancora uomo di
sentimento - dopo così tanti anni di carriera e forse anche stanco di
tanto lavoro.
“Colpevole!”
La legge era chiara e il mio reato evidente. Venni condannato, eppure mi
sembrava di essere stato l'unico cittadino di questo Stato ad aver
compiuto il suo dovere. Così persi anche le ultime briciole di rispetto,
che mi rimanevano nei confronti dell'autorità. Là ognuno si creava le
proprie leggi, le quali, forse, alcuni chilometri più in là, in un'altra
nazione, erano diverse e questi credeva di aver conglobato la saggezza
comune.
Con l’approntamento della nuova strada si era aperta una vetrina su un
passato di milioni di anni, eppure nessuno aveva la voglia di
occuparsene. Tutti bramavano solamente una rapida ascesa tramite questa
strada per privare sempre più febbrilmente la natura dei suoi tesori.
Era giusto che la natura non avesse più alcun diritto? Queste piante
erano forse nuove e importanti per la scienza? Potevamo contribuire in
questo modo alla nostra evoluzione?
Ho consultato numerosi libri, ma in nessuno di essi erano menzionate
quelle piante che avevo trovato. E i libri che parlavano di piante
fossilizzate, contenevano solo fotografie e disegni di altre piante.
Doveva essere un errore. Si era già scritto di tutto questo, era stato
sicuramente trovato qualcosa di uguale. Mi rivolsi al museo di Scienze
Naturali di Bolzano. Mi comunicarono che tutto questo non era fonte di
interesse e che per questo motivo non dovevo ulteriormente disturbarli.
Chiesi e scrissi lettere a quei docenti che credevo potessero avere
maggiore sapienza. Avevano studiato geologia o paleontologia o scienze
affini. Eppure anche loro sapevano solo fare spallucce. Alla fine mi
rivolsi a una docente olandese. Aveva un nome ancora più impronunciabile
di tutti i fossili a me conosciuti: Han Van Cittert – van Konijnenburg
si chiamava la gentile e disponibile professoressa. Venne a trovarmi.
Si, si trattava di piante completamente nuove. Mi spiegò perché, mi
insegnò a che cosa dovevo prestare attenzione, mi mostrò che era
importante trovare tutte le parti di una pianta, soprattutto le
infiorescenze, e che esistevano fiori maschili e fiori femmine, come tra
noi uomini e nel regno animale e ogni pianta possiede cuticole, come la
pelle per gli uomini, e queste si differenziano da pianta a pianta, così
come il manto di un animale si differenzia da tutti gli altri. E queste
cuticole non sono mai andate distrutte nel corso di 200 milioni di anni.
“Nella natura molte cose vanno perse, ma non tutto!” mi insegnò.
Abbiamo dato loro dei nomi; molte di loro avevano bisogno di un vero e
proprio nome. Avevano ora una personalità e non erano più
insignificanti. Raccontavano qualcosa del divenire e del trascorrere
delle specie. Qui c'erano piante tropicali. Strano. Noi, figli delle
montagne e della neve, ci eravamo trovati una volta all'equatore e
avremmo potuto crogiolarci al sole su un’isola tropicale.
Avevo trovato le foglie di alcune piante, eppure mancavano ancora le
altre parti.
“È come se trovassi solo l’avambraccio di un uomo o il perone!” mi
disse, “ma dobbiamo trovare tutto per sapere com'era la pianta”.
Sentii una voce dentro di me che mi chiamava: dovevo uscire, nella
natura, cercare la pianta misteriosa, esplorare queste montagne. Così
cominciai a girovagare, per giorni, su e giù, di qua e di là, cercavo di
osservare profondamente questa natura e ogni giorno miglioravo sempre di
più. Scoprii le parti mancanti delle piante, le paragonai e giorno dopo
giorno ampliavo le mie conoscenze e quelle dell´umanità. Di tanto altro,
soprattutto dello scienziato Ruggero Calligaris, non sentii più parlare
per tutti gli anni a venire.
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